“Come si raggiunge un traguardo? Senza fretta, ma senza sosta.” Parole ovviamente non del sottoscritto, ma di un tale Goethe che se tuttoggi qualcuno cita, significa che ha lasciato tracce di sé nel suo secolo.
La stessa traccia a tinte nerazzurre che da un lustro la banda Gasperini disegna in ambito nazionale e internazionale, e che ogni anno supera limiti inimmaginabili. O almeno, inimmaginabili per chi ancora crede che l’Atalanta sia solo una favola calcistica come le altre e che presto troverà la propria fine.
Quel momento però per i cosiddetti “haters” e invidiosi pare lontano anni luce dal concretizzarsi, perché la Dea corre spedita verso la prossima qualificazione in Champions, e questa volta nemmeno il modesto ma imprevedibile Bologna di Mihajlovic ha potuto fermare la verve offensiva di un gruppo consapevole di avere come nemica numero uno stessa.
Già perché quello storico (se pur momentaneo) secondo posto in classifica rispecchia il potenziale di una squadra costruita per nobili e grandi imprese, ma se ormai per lo scudetto (di quest’anno, per la prossima stagione ne riparleremo) è tardi, in ottica Champions ora la Dea è artefice del proprio destino, e a Gasperini dipendere da se stesso ha fatto sempre tanto piacere.
Sentire la pressione anziché metterla: questa è l’unica cosa che cambia, ma l’Atalanta di questi problemi non ne ha, perché il diktat societario “Tutto ciò che arriva in più della salvezza è un successo” libera di ogni preoccupazione, e suscita una consapevolezza nei propri mezzi che al momento nessuno pare avere.
D’altronde alla Dea correre bene esce del tutto naturale, e per una divinità la sosta non è contemplata.